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    LENDL


    IVAN THE TERMINATOR La zampata vincente che mise a segno nella primavera dell’84 al Roland Garros in finale contro un John Mc Enroe ormai lanciatissimo al successo, fu quella che gli cambiò la vita trasformandolo da Paride in Achille. Precedentemente, a causa di svariate finali di slams perdute, il lungo Ivan Lendl venne apostrofato con il soprannome di “The chicken” (“Il pollo”) da quel guascone di Jimbo Connors e successivamente da alcuni addetti ai lavori; probabilmente, però, il tennista cecoslovacco, nonostante fino a quella primavera dell’84 già fortissimo, doveva ancora trovare dentro di sè la consapevolezza del predestinato: la trovò, per l’appunto, su quel pallonetto passante che disintegrò i sogni di gloria di Mc Enroe. Da lì in avanti, fino a fine carriera, Ivan sarebbe diventato quella macchina da tennis perfetta capace di rimanere ai vertici per molte stagioni. Lendl fu sicuramente l’archetipo del tennista moderno, l’unione cioè di un talento costruito con tantissimo lavoro, preparazione fisica, alimentazione studiata nei minimi dettagli (sembra che Ivan non bevesse nemmeno l’acqua gasata affinché l’anidride carbonica non venisse assorbita dal suo stomaco!?) e quant altro; certo, qualcuno potrebbe asserire che prima di lui molti altri curavano questi aspetti, ma sicuramente non con tale pignoleria. L’aguzzo cecoslovacco, diventato poi cittadino statunitense, canalizzava il suo gioco sulla “prepotenza” da fondo campo: leggendari sono i suoi schiaffoni di dritto, micidiale il passante sparato in corsa; il rovescio, invece, ci mise un pò per costruirselo: dapprima giocato spesso in back, si elevò con grande lavoro ai fasti del dritto. Il servizio seguiva dei rituali curiosi: si iniziava con una serie di sopracciglia e ciglia da strappare, proseguiva con lo cospargere di segatura manico di racchetta e zona del campo sottostante (in quantità industriale, per via dell’abbondante sudorazione poi parzialmente risolta con l’utilizzo dei famosi polsini doppi e probabilmente con la meno ingombrante polvere di magnesio), varie battute di racchetta sotto le suole delle scarpe (anche se giocava sul cemento) e, dopo una decina di rimbalzi della palla che spazientivano l’avversario ed un’ultima sistemata al manico della racchetta, finalmente partiva un cannon-ball che aveva lo stesso effetto di una “castagna” in mezzo ai denti. Colpi al volo e smorzate, invece, difettavano di sensibilità: non erano nel suo DNA. Il suo “strumento di lavoro” un pò gli somigliava: da under 18 aveva dapprima giocato con l’onnipotente “Maxply Fort” della Dunlop, passando successivamente alla Kneissl “World Star Cup”, attrezzo costruito interamente in fibra di vetro prodotto anche dalla Slazenger con il nome di “Grand Prix”. Ma ecco che dal ‘79 Ivan sposò quella che sarebbe stata la sua racchetta per tutta la vita: Kneissl “White Star Lendl Pro”, Adidas “Ivan Lendl GTX Pro” e “Pro T”, Mizuno “Lendl Eagle I”: si tratta sempre dello stesso modello; struttura massiccia in graphite, fiber glass e kevlar, peso sui 400gr., piatto corde a forma di cucchiaio ingrandito del 10% rispetto lo standard ed il caratteristico ingrossamento del fusto verso l’impugnatura. Tutta questa alchimia generò un attrezzo che in quegli anni ebbe molti estimatori e che fu utilizzato da campioni dai più svariati stili di gioco: Nastase, Higueras, Curren, Arraya, Hlasek ed altri ancora. Il volitivo ragazzo del ‘60 ebbe due sogni nel cassetto: diventare il numero uno e trionfare sull’erba di Wimbledon, un pò come Vilas, anche se Guillermo lo perseguiva in maniera meno ossessiva… il secondo sogno restò tale per ambedue.



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