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    ORANTES


    MANOLITO ORANTES: GRANDE DI SPAGNA. Del carattere latino il buon Manuel Orantes aveva sicuramente poco: onesto, riservato, estremamente corretto in campo, il mancino di Granada aveva una pesante eredità da supportare, quella del grandissimo Manuel Santana. Come lui, Orantes aveva ricevuto in dote dal Padreterno, oltre allo smisurato talento, un viso dallo sguardo estremamente triste, reso forse tale dalla lunga gavetta di raccattapalle dovuta alla miseria che adesso, campione affermato, non rinnegava. Nonostante la passata povertà, nel tennis di Manuel non vi era né cattiveria né bramosia di vincere a tutti i costi: egli affrontava ogni match con la serenità con cui l’uomo omesto affronta la giornata di lavoro; i suoi colpi incrociati preferivano la terra battuta come superficie di gioco e, difatti, i migliori risultati li ottenne proprio su questo manto. Con il lob liftato, che era la sua specialità d’attacco, riuscì a scardinare il violento rush di Jimbo Connors nella finale dei campionati degli Stati Uniti a Forrest Hills nel 1975 (il primo anno in cui si disputarono sulla terra verde) e con la metallica azzurra Slazenger “X-10”, siglò per due anni consecutivi il prestigioso torneo di Boston, battendo rispettivamente iin finale due ostici giocatori come Eddie Dibbs nel ‘77 e Harold Solomon nel ‘78 (entrambi Top Ten e specialisti della terra battuta).

    La metallica “X-10” (costruita in lega di tensilium dall’ovale “a cucchiaio” e di forma tanto strana da sembrare una racchetta da volano), fu sua fedele partner per diversi anni, fino a quando una fastidiosa epicondilite (le metalliche erano famose per causare questo guaio) lo costrinse a passare alla “Phantom”, fuoriserie 100% graphite (la prima in assoluto) sempre di casa Slazenger; nera, con il doppio ponte trasversale, realizzata nel 1977, il proibitivo prezzo di vendita la poneva come “non plus ultra” delle racchette da tennis di quel periodo (equivalente a oltre un migliaio di euro odierni). Giocò l’ultimo periodo con l’Adidas “Grand Prix”, ma il ripetersi di dolorosi problemi alla schiena, sommati all’epicondilite e all’approssimarsi dei trentacinque anni, consigliarono a questo nobile hidalgo, che appena diciottenne aveva esordito nella finale di Davis contro l’Australia, di porre termine alla fulgida carriera di un grande campione dal viso malinconico.



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