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    Nastase


    ILIE IL RE DEGLI ZIGANI. Se dovesse essere scritto un libro su Ilie Nastase, qualcuno dei suoi detrattori potrebbe intitolarlo “Ilie e Mister Hyde” ma, sostanzialmente, ritengo che la personalità del campione rumeno fosse inscindibile e, a distanza di vent’anni dal suo ritiro, era in realtà una simpatica canaglia che non avrebbe affatto sfigurato insieme a Tognazzi, Montagnani e Moschin in uno dei film “Amici Miei”. Di “zingherate” Ilie, nella sua carriera, ne ha fatte talmente tante che qualcuna vale la pena di ricordarla: come quando in un match contro Panatta, conoscendo la sua innata superstizione, si mise in borsa un gatto nero che lasciò andare ad un cambio di campo, suscitando le ire di Adriano che non gli rivolse più la parola per un paio di mesi, nonostante fossero amici; o quando, in un incontro di esibizione a San Juan De Portorico contro Peter Fleming, su una palla fortunosa che aveva toccato il nastro a favore dell’americano, andò a strusciarsi il sedere sul nastro tra l’ilarità generale del pubblico e del suo stesso avversario.

    Le birbonate del rumeno non si limitavano al solo tennis giocato, ma spaziavano a 360 gradi, andando ad influenzare addirittura la sua stessa attrezzatura tennistica, coinvolgendo soprattutto il segmento corde, grazie all’aiuto di suo fratello che gli faceva da incordatore personale. Ilie sperimentava sulle sue racchette tutte le alchimie possibili dalle quali il suo gioco potesse trarre vantaggio; così forte fu la protesta di Vilas dopo la ben nota finale di Aix en Provence, che la Federazione Internazionale si vide costretta a varare regole ferree in materia, mettendo così al bando le geniali bizzarrie dei fratelli Nastase.

    Al di là di tutte le sue stramberie, in campo il rumeno era un ispirato da Dio: ogni suo colpo faceva trasparire una classe che aveva ben pochi eguali, se non il nostro Panatta, il quale brillava del suo stesso talento. Atleticamente Ilie era veloce ed aggressivo come un felino, tant’è che le sue incursioni a rete si concludevano con volées che assomigliavano a graffianti e letali zampate. Tatticamente scaltro, aveva la tendenza a perdere il filo del gioco se qualcosa lo contrariava: restano famosi i suoi passaggi a vuoto durante la celeberrima finale ai “Champion Ships” del ‘72, quando perse per strada due sets a causa dei continui cambiamenti di racchetta, sostenendo che le corde di tutti e sei gli attrezzi che aveva con sè erano troppo tese. Certo, tutto questo può succedere anche ai giorni nostri, magari a tennisti di non primissimo livello, ma la faccenda assume contorni grotteschi se si pensa che il buon Nastase aveva ritirato le sei Dunlop “Maxply Fort” la sera prima e, a causa del già citato inconveniente, mise le racchette sotto le gambe del letto e ci dormì sopra, continuando a saltellarci sopra la mattina seguente e, non contento, lo fece fare anche al voluminoso impiegato dell’Ambasciata Rumena che era andato a trovarlo per augurargli buona fortuna. Tra l’altro, il mattacchione si era aggiudicato alla grande il primo set della finale.

    La carriera di “Nasty” passò attraverso tre generazioni di tennisti e cinque modelli di racchetta: giocò i suoi anni migliori con la “Maxply Fort” della Dunlop, quelli buoni con l’Adidas “Ilie Nastase Competition”, quelli del declino con due modelli: uno in metallo, l’altro in fibra, sempre dell’Adidas, che nessuno più ricorda (quello in metallo fu utilizzato anche da Peter Szoke, tennista ungherese autore della più bruciante sconfitta subita da Panatta in Coppa Davis; il modello in fibra era il “Grand Prix”), quelli sereni del prepensionamento con l’Adidas “Ivan Lendl Gtx Pro”.

    Ebbi modo e fortuna di vedere il trentottenne Nastase in quello che fu uno degli ultimi tornei da lui giocati: a fine ‘84 riusciva ad incantare ancora il pubblico con il suo prezioso e istrionico gioco che oramai non graffiava più.



    Nastase

     
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