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    TANNER


    HURRICANE TANNER. Il discreto signore che potete incontrare ai simposi “PTR” o in qualche torneo per veterani, qui in Italia, che ha appena lasciato alle spalle un sacco di grane negli States a causa di mancati pagamenti alla sua ex moglie, è stato più di venticinque anni fa una delle stelle più brillanti del firmamento tennistico americano.

    Buon gioco al volo molto essenziale, senza fronzoli, dal fondo un po’ meno efficace, ma in grado di fiondare autentiche “legnate” di dritto e rovescio, lo “smash” risolutivo non ammetteva repliche: questo faceva parte, oltre ad un’ovvia predisposizione per le superfici rapide, del corredo genetico di Roscoe Tanner, ma quello che lo rendeva unico, tanto da meritarsi l’appellativo di “bombardiere di Chattanooga”, era il suo devastante servizio. Simile all’approssimarsi di un uragano, la palla scagliata dalla metallica “PdP” (o qualcosa del genere) rovinava nel rettangolo avversario ad una velocità di poco inferiore ai 250 km/h, in un’epoca dove gli attrezzi ben raramente permettevano le prestazioni odierne; tale capolavoro balistico era possibile grazie alla rapidissima frustata di braccio (piuttosto robusto) che portava la racchetta ad impattare la palla in fase ascendente, completata dalla spinta di gambe in avanti con l’intero peso del corpo scaricato sul movimento estremamente dinamico. L’aerodinamicità della racchetta in metallo (“PbP” prima, “Le Coq Sportif” successivamente, si trattava di similari) contribuiva ad accentuare l’efficacia del colpo.

    Colse, con le due racchette metalliche, il traguardo più alto della sua carriera, che culminò nel ‘79 con la finale di Wimbledon dove, a suon di aces e volées, riuscì a trascinare al quinto set un Björn Borg che sembrava essere il “messia” del tennis. Ma se è vero che la vendetta è un piatto che va consumato freddo, il bombardiere dal caschetto di capelli biondi che nel frattempo si era fatto riccioluto (migliorando così la concentrazione al gioco, secondo una sua dichiarazione) si prese la rivincita un paio di mesi più tardi, sul DecoTurf veloce del campo centrale di Flushing Meadows, in occasione dei quarti di finale degli US Open: complice una programmazione dell’incontro che danneggiava il fuoriclasse svedese, il quale fu costretto a giocare tale partita con le luci artificiali nonostante la sua dichiarata avversione a causa di problemi alla vista, “Mister Service” coronò quel sogno che poche settimane prima stava per agguantare ma che gli era poi sfuggito di mano.

    Attrezzi dalla tecnologia abbastanza semplice, le due metalliche differivano per minimi particolari. Ricalcavano in genere le caratteristiche più o meno comuni a tutte le racchette professionali in lega dell’epoca, cioè: ovale “a goccia”, cuore in materiale plastico fissato con quattro viti agli steli, profilo degli steli a “U”; di colore beige il cuore della PbP (marchio statunitense praticamente sconosciuto in Europa), di un rosso mattone quello della Le Coq Sportif (marca che nasceva tennisticamente in quegli anni).

    L’avvicendarsi degli anni ‘80, oramai in fase di declino, portò il biondo Tanner (che era ritornato alla sua abituale frangetta) ad equipaggiarsi con un nuovo attrezzo nero lucente in graphite e fiber glass, con l’intento di scardinare a suon di servizi una concorrenza fattasi sempre più agguerrita, ma sia lui che la sua Le Coq Sportif “Concept 3 graphite”, dai singolari steli a tre razze, sfumarono nella bruma dell’alba di quella nuova epoca.



    Tanner

     
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